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Written by: Progetti

Ora sono 5! L’’ultima «scalata» di Reinhold Messner

Ora sono 5! L’’ultima «scalata» di Reinhold Messner

Brunico (Bolzano). L’’ultimo nato, il quinto della serie, si trova nel Castello vescovile. Ammicca ai musei contemporanei nel nome (Ripa è un acronimo di due parole tibetane: «ri» montagna e «pa» uomo), ma esprime un programma originale. Raccontare il mito della montagna: questa l’ambizione di Reinhold Messner, una vita dedicata a vette e ghiacci, in un museo diffuso; 5 sedi che coprono gran parte delle Dolomiti, 15 anni di lavori conclusi a luglio.
Sede prestigiosa, il duecentesco Castello arroccato sopra Brunico ha una storia complessa. Progressivamente abbandonato nel Novecento, veniva utilizzato sporadicamente. Abortite sul nascere alcune ipotesi di trasformazione (albergo, casinò), quando balena l’idea di farne un museo c’è tanto scetticismo. «Noi stessi pensavamo che non potesse funzionare», ammette Gerhard Mahlknecht, socio dello studio em2 architetti (Brunico) che ha curato ristrutturazione e allestimento. Un rapporto, quello con Messner, iniziato nel 2007 quando l’alpinista altoatesino è nella giuria del concorso per il quartier generale della Salewa a Bolzano. Il primo premio è vinto da Cino Zucchi Architetti con Park Associati (la realizzazione è in dirittura d’arrivo proprio ora), ma il progetto secondo classificato, di Mahlknecht con il socio Heinrich Mutschlechner, piace tanto a Messner che quando c’è da lavorare al Castello di Brunico chiama loro. Lo descrivono  come un «committente atipico, tantissimo in cantiere e moltissime idee con cui confrontarsi».
Un progetto in continuo divenire, quello iniziato nel settembre 2009 e costato circa 6 milioni. In equilibrio tra restauro, confrontandosi con la Soprintendenza di Bolzano, e nuove forme. «La struttura è rimasta quello che era, cioè un castello», spiega Mahlknecht, «la trasformazione è stata contenuta. Ma a lavori finiti possiamo dire che l’intervento contribuisce a riscrivere la storia stessa dell’edificio». Nel piano interrato sono state riaperte le cantine, prima inagibili. Collegato a esse l’elemento maggiormente innovativo: un volume interrato di circa 350 mq scavato tra la struttura del castello e le mura difensive; un gesto che ridefinisce gli equilibri degli spazi e connota il percorso espositivo. Addossati alle mura sono gli altri due piccoli nuovi corpi (biglietteria e spazi workshop), costruiti interamente in legno, a marcare la differenza dalla pietra originale e a consentire un eventuale rapido smontaggio. Ai piani superiori l’intervento più complesso ha riguardato i rinforzi statici in ferro delle solette, con la rimozione e il ripristino dei pavimenti originali in legno. L’allestimento infine gioca su una semplicità che sfocia nel minimalismo. Nessuna ricerca di effetto, ma un rapporto diretto con oggetti e opere esposti che riprende la concretezza dei popoli di montagna.
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Autore

  • Michele Roda

    Architetto e giornalista pubblicista. Nato nel 1978, vive e lavora tra Como e Milano (dove svolge attività didattica e di ricerca al Politecnico). Dal 2025 è direttore de ilgiornaledellarchitettura.com

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Last modified: 23 Settembre 2016